332 giorni insieme

332 giorni insieme

1 luglio 2017. Omar, il fratello di Lis, è pronto ad accompagnarci in auto a Santa Rosa di Puente Piedra, l’enigmatico barrio culturale “Quijote”. Percorrendo a singhiozzo la giungla d’asfalto della Panamericana si fondono ragionevoli timori e caute speranze. Sarà lungo un anno nelle periferie di Lima. Gli occhi sono rapiti dallo scorrere dell’irregolarità urbana, dalla precarietà dell’esistenza di quei volti ai margini della strada che non si immaginano il futuro come il sottoscritto, ma vivono l’eterno presente della quotidianità.
Si arriva poi al barrio, nella penombra. L’entrata al centro culturale sembra un garage. All’interno c’è luce. Varcata la soglia mi si forma un groppo in gola, si palesano le ansie di essere nel posto sbagliato. Ci sono alcune file di sedie bianche, diversi bambini e genitori, soprattutto mamme. Al centro della sala c’è Lis, si nota che è la responsabile del progetto. Attorniata da bambinetti intenti a declamare poesie, misti a saluti più o meno spontanei di benvenuto. Sono colpito, avverto un clima positivo, semplice, umano. Mi siedo per capire meglio, scrutare i volti dei presenti. Mi sento un po’ osservato, ma già più a mio agio, forse perché mi sono liberato temporaneamente del peso delle valigie. L’avventura è iniziata.

28 maggio 2018. Jean Paul, che sicuramente non si scrive così, vicino di Eddy e Lis, suona il clacson del suo sgangherato furgoncino bianco per avvertirci che è in attesa in strada, davanti a casa. Siamo d’accordo, per 40 soles ci accompagna all’aeroporto. Prezzo onesto. Scendo le scale con le stesse due valigie dell’andata, ma ancora più pesanti. Oltre a vestiti e aggeggi vari, dentro c’è un bel pezzo di vita vissuta. Salutiamo Lis e i bambini, Cielo e Luis. È veramente il culmine, l’ultima despedida, dopo tante e forse troppe feste di saluti delle varie persone conosciute, nei giorni precedenti. Un lungo crepuscolo, ma ora arriverà la notte e con lei i pensieri, i ricordi e le emozioni.
Non c’è troppo tempo per pensare, una foto ricordo dai sorrisi accennati e via, di nuovo catapultati sulla Panamericana, nella direzione opposta all’andata, verso lo striminzito Aeroporto internazionale Jorge Chavez. C’è poco da dire nel furgone, scambio quattro chiacchiere con Valentina, non presto neanche troppa attenzione all’umanità varia ai margini della strada. Penso all’Italia, a tutto ciò che ritroverò, senza troppa fiducia. Mi scuoto un po’ quando il nostro autista inizia il solito slalom sulle polverose corsie della Panamericana, ma è solo un piccolo sussulto. L’avventura è finita.

Nel mezzo, i 332 giorni insieme.

Nella famiglia allargata del progetto “Quijote para la vida”, nato da questa coppia all’apparenza un po’ strana, Eddy e Lis, così diversi caratterialmente tanto da autodefinirsi in maniera azzeccata l’uno il Quijote e l’altra Sancho Panza, lui il sognatore e lei il pompiere.

Questi curiosi eroi moderni una decina di anni fa si sono inventati un progetto che pensava ambiziosamente di formare leader culturali in un quartiere di periferia di Lima, educando i ragazzi alla lettura, alla cultura, alla pienezza della vita. Impegnandosi quotidianamente e senza nessun ritorno economico. Lucio Dalla li avrebbe definiti “sprassolati”. A loro dico grazie, perché mi hanno mostrato con naturalezza la passione e la dedizione per gli altri, nella speranza di un mondo più consapevole, giusto e solidale.

Poi ci sono i loro figli, Luis e Cielo, di 11 e 8 anni, diversissimi. Lei più matura, posata e responsabile, lui più sfrontato, furbo e irriverente. Accomunati entrambi da una curiosità e una fame di scoprire la vita incredibili, valori trasmessi con tenacia dai genitori. Per noi volontari dei Corpi Civili di Pace è stato sin troppo facile inserirsi in una famiglia del genere e altrettanto difficile lasciarla dopo undici mesi.

332 giorni in cui ho potuto lavorare con tanti bambini del quartiere, sia nel centro culturale che nella vicina scuola. Mi fa piacere che i ragazzi siano migliorati in lettura, matematica, scrittura e abbiano espresso i loro talenti. Ma spero che in realtà abbiano captato qualcosa dei miei principi, del rispetto degli altri, della tolleranza, dell’onestà, del pensare con la propria testa e mettere in discussione le proprie certezze, affrontando la vita con ironia e curiosità.

Lo ammetto, con loro ho sbagliato tante volte, in buonafede. Ma sono stato comunque ripagato da grande affetto, anche un po’ imbarazzante per un provinciale un po’ schivo come me. Sarei presuntuoso nel dire che in parte ho contribuito a cambiare in meglio le loro vite, ad aver insegnato loro qualcosa.

Magari tra qualche anno ricorderanno solo qualche episodio, qualche battuta di quel ragazzo italiano. Senza troppe nostalgie, con il sorriso. O forse no, a volte ci convinciamo di lasciare un segno, ma è una piccola vanità da volontari. È vero che sono stato un anno, ma di passaggio, all’interno di un processo più ampio. Il Quijote c’era prima di me da molti anni, c’è stato con me e ci sarà in futuro, spero, con ancora più entusiasmo.

Passione di cui ha bisogno la comunità di Santa Rosa, che abbiamo cercato di stimolare iniziando un lungo cammino di sensibilizzazione, civismo e partecipazione nel quartiere.

Oltre a tante emozioni, momenti, avventure, persone, gioie e difficoltà indescrivibili in poche righe, mi è rimasta un’immagine, quella del Quijote come porto di mare. Approdo sicuro all’interno del quartiere, che comunica con l’esterno con il linguaggio dell’arte, della cultura, dell’inclusione sociale e della valorizzazione delle differenze, della tolleranza. Tanti naviganti provengono da paesi e culture differenti e vi sostano periodi più o meno lunghi, ammaliati dalla vivacità dei due capitani locali.

Credo ci siano due categorie di persone in questo complicato mondo: chi parla e promette di cambiarlo e chi agisce in tal senso. Nel Quijote ci sono le persone che agiscono. Grazie per questi preziosi 322 giorni.

Luca Bini, volontario IBO dei Corpi Civili di Pace in Perù
3°Classificato al Concorso Letterario 2018 “Racconti di una esperienza”