
09 Ott Cerros al profumo di speranza
Sto conoscendo il Perù, lo sto conoscendo poco alla volta.
Me lo stanno raccontando i taxisti che mi hanno guidato nel traffico della capitale fino alle sue periferie che si aggrappano ai cerros che circondano la città. Lo sto vivendo a Lima, ogni giorno, nelle settimane di Servizio Civile che scorrono rapide nella sede di IBO Italia. Ne ho scoperto una parte, nella sierra, durante le camminate nei weekend abbracciati dalle montagne. L’ho celebrato, durante il mio primo natale passato a mangiare con i piedi sotto la sabbia e la salsedine appiccicata addosso. L’ho ammirato, nella selva, nei giorni in cui mi sono ritrovata a galleggiare su una barchetta nel Rio delle Amazzoni, osservando Cesar e Herman scambiarsi segnali con la natura che io non ero in grado di cogliere.
E più lo scopro, questo territorio che dai quasi 7000 metri dell’Huascaran corre verso il basso fino a livellarsi con le coste dell’Oceano, e più mi accorgo di quanto sia complesso.
È nella realtà un paese dai muri invisibili e non; un mosaico di realtà differenti, a volte contrastanti.
Lima è un gigante di cemento che prova a muoversi rapido, ma che la maggior parte del tempo rimane bloccato nel traffico intenso e costante. È il centro di gravita del paese, città moderna, animata, casa di passaggio di numerosi stranieri, affollata durante il giorno così come durante la notte, compressa nei quartieri più centrali che si allungano verso la costa per poi cadere a strapiombo sul mare. E’ diventata anche la mia casa frenetica in questi dieci mesi di Servizio Civile, in cui a volte mi e’ sembrato che a scandire il tempo e le settimane che passavano fosse proprio il crescere rapido dei grattacieli che piano per
piano si mangiavano il cielo timido della città.
Ma spostandosi un poco dalle zone piu’ centrali, dove lo sguardo fatica ad arrivare, inizia un’altra Lima, unita con la prima solo dai tanti autobus e combie che ogni giorno trasportano frotte di pendolari stanchi dalla periferia alla città. È una Lima che si esprime in tutta la sua difficoltà negli agglomerati di case costruite in legno e lamiera che afferrano il terreno instabile delle colline desertiche su cui sorgono, sfidando le leggi di gravità e la capacità di adattamento dei suoi abitanti. Un paesaggio tanto suggestivo durante la notte, quando, nascosto dall’oscurità e illuminato solo dalle luci dei lampioni stradali che corrono disordinati verso la cima del cerro, pare un piccolo pezzo di cielo stellato sulla terra. Un paesaggio tanto duro, quando la luce del sole ne rivela le sfaccettature più amare.
Sorti in fretta e furia durante gli anni ottanta, con l’esplosione del terrorismo e della guerra civile, li chiamano i Pueblo Jóvenes, nonostante della rigogliosità e del vigore dei giovani abbiano poco o nulla in comune. Il risultato di questa crescita rapida e
sproporzionata che ha portato la capitale ha veder gonfiare il numero dei suoi abitanti da 645 mila a circa 10 milioni di persone in soli settant’anni, è il senso perenne di precarietà e abbandono che pervade questi luoghi, a volte divisi dalla “lima bene” da vere e proprie barriere architettoniche.
In questi asientamentos humanos il coefficiente di GINI non è più solo un numero, ma si concretizza e prende forma nelle fragili pareti che racchiudono vite dure e combattive, nelle innumerevoli costruzioni iniziate e mai finite, nella mancanza quasi totale di servizi e luoghi di svago, e nelle cisterne blu sui tetti che come il corpo di un cammello custodiscono e utilizzano con parsimonia l’acqua che scarseggia e che arriva a costare fino a 10 volte di più che in città.
Nonostante questo le periferie continuano a crescere e la vita scorre, e la speranza di un miglioramento si nasconde dentro la statua di un Don Chisciotte che ammira piccoli bambini che sognano e lottano per un cambiamento; nell’energia di chi ha impresso un graffito colorato su un muro polveroso per ricordare a tutti che “Otro mundo es posibile”; e a volte fa capolino fra alcune aiuole profumate fatte crescere sui versanti pendenti intorno alle case.
“I bambini sanno che i fiori non vanno pestati; in questo modo non si avvicinano al bordo della strada e non rischiano di cadere. Prima avevamo provato con una staccionata di legno, ma non funzionava, la scavalcavano”, mi racconta una mamma.
Sorrido.
Penso a quanto sarebbe bello se al posto di ogni muro che divide
ci fossero un paio di girasoli e alcune primule colorate.
E dentro di me spero
che il vento sparga presto questi semi.
Arianna Francescato, volontaria IBO in Servizio Civile in Perù
Concorso Letterario 2018 “Racconti di una esperienza”