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Formazione, interviste e focus group: la ricerca emancipatoria dà l’avvio a No One Left Behind

Anche il più lungo dei progetti ha un punto di partenza… ed ecco il nostro! Lunedì 27 gennaio sono iniziate ufficialmente le attività del progetto “No One Left Behind”, co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Punto di partenza, come avevamo già anticipato, è stato l’avvio della ricerca emancipatoria.

Premessa | Di cosa si tratta

La ricerca emancipatoria è una ricerca basata sulla metodologia della ricerca-azione partecipata e sui principi di autopromozione, autodeterminazione ed empowerment. Gli obiettivi sono, da una parte, arrivare ad un processo di conoscenza della situazione e di diretto coinvolgimento degli attori in gioco e, dall’altra, promuovere una dinamica di empowerment tra gli attori chiamati a partecipare responsabilmente.

Le persone con disabilità, in questo caso, divengono essere stesse ricercatori, cioè produttori di conoscenza sulle proprie vulnerabilità, sulle barriere e sui fattori che impediscono o favoriscono una piena ed effettiva partecipazione alla società. La ricerca emancipatoria vuole promuovere uno sviluppo inclusivo, adottando un approccio che sostenga e salvaguardi i diritti umani, che rispetti e valorizzi l’essere umano e la sua partecipazione attiva (maggiori informazioni su arcolab.org).

Sul campo | La formazione

Caterina e Chiara, due ricercatrici di ARCO Action Research for CO-development, centro di ricerca fondato nel 2008 presso il PIN – Polo Universitario Città di Prato e fortemente legato all’Università degli Studi di Firenze, ci hanno raggiunto* ad Iringa per incontrare il team di ricerca composto da quattro operatori tanzaniani – Geni, Adam, Asha e Tula – e iniziare il lavoro insieme. Presso l’ufficio IBO si è svolta per tre giorni la formazione a tutto il team tenuta dalle due ricercatrici. Gli argomenti trattati hanno riguardato la disabilità, i diversi approcci ad essa ed i suoi differenti modelli, i principali riferimenti di legge su di essa nel mondo e in Tanzania. Si è parlato di scuola nel distretto di Iringa e di inclusione scolastica (leggi anche l’articolo sulla ricerca emanipatoria pubblicato dal sito di ARCO).

Il focus poi si è incentrato sulla metodologia della ricerca: cosa è e come si fa, quali sono gli strumenti di ricerca, come si raccolgono i dati e come si analizzano. In ultimo è stato definito il programma di ricerca dei successivi giorni.

formazione

Sul campo |  Le interviste

Dopo questa breve formazione siamo stati operativi sul campo: Kipera, Kibaoni e Isimani sono stati i tre villaggi in cui ci siamo recati, due giorni in ciascun villaggio.

Il primo giorno in ogni villaggio il team di ricerca ha intervistato le principali autorità: la preside della scuola e alcuni insegnanti, il responsabile scolastico, il capo villaggio, i leaders religiosi, il segretario del comitato di villaggio. Ogni intervista era composta da una serie di domande, specifiche per ogni figura, al fine di indagare la disabilità in ogni suo aspetto e da diversi punto di vista.

Alcuni dei nostri intervistati sono risultati molto motivati e preparati sul tema della disabilità, e si sono mostrati collaborativi nell’elencare le difficoltà e le risorse delle persone con disabilità che abitano nei villaggi. Altri invece, forse intimiditi o poco interessati, rispondevano in modo frettoloso, sostenendo che tutto andasse bene e che le persone con disabilità fossero ben integrate nella comunità. Purtroppo, questa seconda tesi, è stata scartata dopo i focus groups del secondo giorno.

interviste

Sul campo | I focus group

Il secondo giorno in ogni villaggio, infatti, si sono tenuti due focus groups: uno costituito da genitori e caregivers di bambini con disabilità, l’altro da giovani e persone con disabilità.

Tra domande, discussioni di gruppo e storie personali struggenti, alcuni genitori nei focus groups, mamme in particolare, ci hanno raccontato le innumerevoli difficoltà incontrate durante il loro percorso. In questi contesti rurali spesso le madri vengono ritenute colpevoli di aver dato alla luce un bambino con disabilità: la credenza popolare infatti vuole che l’arrivo di un bambino affetto da problematiche sia diretta conseguenza di una colpa della mamma, punita per questo da volere divino. La madre, a questo punto, viene in molti casi abbandonata dal marito o ripudiata dalla famiglia, e si ritrova, sola, ad accudire il nuovo nato. Questa nuova incombenza si va a sommare alle già innumerevoli mansioni della sua giornata: lavorare nei campi, badare alla casa, provvedere al sostentamento della famiglia. Il ricorrente problema comune indicato da molte di loro è stato la mancanza di tempo per andare a lavorare nei campi, che si traduce nell’aggravarsi di condizioni economiche già precarie.

Le mamme, e qualche papà, sono arrivati agli incontri con i loro bimbi con disabilità, oppure con altri figli sulle spalle, dopo tanti chilometri a piedi, chiedendo supporto, raccontando storie difficili, spesso inconsapevoli delle possibili risorse reperibili, all’oscuro di storie positive di altre persone con disabilità o della possibilità di unirsi in gruppo per far sentire maggiormente la propria voce.

I focus groups con i ragazzi e persone con disabilità sono stati ancora più complicati da condurre: ognuno aveva una diversa disabilità e proveniva da un differente contesto, ci siamo trovati di fronte persone non abituate a parlare in pubblico, ad esprimere il loro punto di vista o ad avere potere di decisione sulle proprie vite. Quei pochi che si sono aperti ci hanno raccontato quanto è difficile vivere in questi contesti, nei quali quasi nessuno è riuscito a studiare e dove non hanno trovato un lavoro che li possa rendere economicamente autonomi. Situazioni che pertanto li hanno costretti a chiedere aiuto alle famiglie e alla comunità, che però non sempre ben volentieri li accetta, ma li discrimina e li emargina.

Ci hanno raccontato che ancora tanti bambini con disabilità vengono nascosti nelle case e sono invisibili al mondo esterno, che c’è un grande rischio di abusi per le giovani ragazze con disabilità e che alcuni ancora pensano che le persone con disabilità siano un fardello per la società. A livello più pratico poi, le strade non asfaltate sono una grande barriera per la loro mobilità, gli edifici pubblici, le scuole e gli ospedali sono quasi dovunque non accessibili. Restare indietro è la quotidianità.

focus-group

Criticità e prossime attività

Nelle visite ai villaggi non sono mancate alcune difficoltà logistiche. Con la stagione delle piogge alcuni centri sono stati difficilmente raggiungibili, l’afflusso delle persone ai focus groups è stato di gran lunga maggiore rispetto a quanto richiesto perché alcune persone si aspettavano un aiuto economico e hanno sparso la voce anche nei villaggi vicini, non sempre quindi i partecipanti erano motivati o consapevoli dell’importanza del condividere una condizione comune e qualcuno si è lamentato per non essere stato pagato per la partecipazione, nonostante che fosse comunque previsto il rimborso per trasporto e il pranzo.

Abbiamo annotato tutto ciò che abbiamo appreso, ne abbiamo discusso insieme, abbiamo riassunto interviste e incontri, e alla fine del field-work ci siamo ritrovati nuovamente presso l’ufficio IBO di Iringa per l’ultima giornata insieme, in cui abbiamo anche impostato il lavoro dei mesi successivi.

Queste due settimane infatti sono state solo l’inizio di un percorso di ricerca.

Geni, Adam, Tula e Asha, con il nostro* supporto e quello di Wilfred (responsabile distrettuale dell’educazione inclusiva) continueranno in questi mesi il lavoro appena iniziato. Si recheranno nuovamente nei villaggi per intervistare un campione rappresentativo della popolazione e raccogliere dati necessari a rispondere alla nostra domanda di ricerca: cosa si può fare per migliorare l’inclusione dei bambini con disabilità che frequentano le scuole in questi villaggi?

Parallelamente alla somministrazione di questionari formeranno alcune persone con disabilità, individuate durante queste due settimane, che entreranno così a far parte del team e verranno coinvolte attivamente in questo lavoro come attori responsabili.

Coinvolgere direttamente
e responsabilmente,
perché restare indietro
non sia più l’unica via possibile
.

Guarda la gallery con le altre foto di queste due settimane

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*Paola Ghezzi |IBO Italia – Tanzania | capoprogetto
*Mussa Malick Kibalabala | IBO Italia – Tanzania| assistente progetto
“No One Left Behind: diritti e accessibilità ai servizi scolastici e riabilitativi dei minori con disabilità nel distretto di Iringa, in Tanzania | AID 011901” progetto co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.