
07 Feb Quel fuoco vivo negli occhi dei bambini del Centro Pinocchio
20 gennaio, ore 23. Tutto è muto e dormiente nella piccola Panciu, ancora innevata e fredda nonostante il timido sole che in questi giorni è venuto a scaldarci, quasi volesse solo fare un saluto veloce per darci appuntamento tra qualche mese.
Anche in casa volontari c’è un grande silenzio, si sente solo il fuoco scoppiettante e fremente delle sobe, unica nostra fonte di riscaldamento casalingo. E’ un suono piacevole e ormai amico, compagno giornaliero con cui ho imparato a convivere da ottobre, da quando sono arrivata qui per quest’anno di servizio civile. E’ un fuoco vivo, lo stesso che vedo negli occhi dei bambini rumeni e rom della mia seconda casa, il Centro Pinocchio. E’ un mondo, questo, in cui a contraddizioni e disagi sociali si cerca di rispondere con l’educazione proposta ai più piccoli, unici semi che col tempo e con pazienza possono fiorire. E’ un luogo in cui ogni giorno, ogni ora e ogni minuto osservo, imparo, aiuto, gioco, rifletto, mi interrogo, e le risposte alle domande più profonde non sono ancora arrivate – se mai arriveranno.
Un centro di educazione non formale, quasi unico punto di riferimento a Panciu per fare rete tra le famiglie, la scuola e le istituzioni, in cui i bambini tornano a vivere i loro diritti: mangiare, fare i compiti, giocare. Insomma, tornare a essere bambini senza discriminazione alcuna per quattro ore al giorno, per uscire poi dal Lumea lui Pinocchio – il mondo di Pinocchio – e tornare a fare i grandi.
Guardo ancora questo fuoco e penso che, così acceso e brioso, non è molto diverso da quello che vedo negli occhi di F. quando, con un po’ di vergogna e sottovoce, mi chiede di scrivergli il suo nome su un pezzetto di carta per poi copiarlo nel suo lavoretto appena fatto; F. è rom, e come molti dei bambini rom del centro, per il solo fatto di esserlo, non trova nella scuola un’occasione per imparare e crescere, e a 9 anni il suo nome non sa scriverlo.
Vedo la stessa fiamma negli occhi di C. che mi chiede con energia e desiderio di aiutarlo nei compiti di lingua romena, grazie ai quali finiamo per divertirci perché, sentendomi parlare nel rumeno un po’ azzoppato che sto pian piano imparando, ridacchia e mi prende in giro di continuo.
Riconosco lo stesso fuoco anche negli occhi di V. che incontro per strada una sera, mentre chiede l’elemosina, e si diverte come un matto nel guardare un mozzicone di sigaretta ancora acceso in mezzo alla strada, sfiorato continuamente dalle auto che passano, ma sempre acceso. Ride con gli occhi di un bambino che torna bambino guardando una sigaretta spegnersi in mezzo alla strada.
Scopro ancora questa fiamma negli occhi di S. ammalato all’ospedale e ricoverato in pediatria, che trattiene lacrime di gioia alla vista di un’arancia, del latte e dei biscotti che gli portiamo noi volontari. Urlerebbe al mondo la sensazione di essere amato e pensato, anche se da tre sconosciuti o quasi, ma ci pensano i suoi occhi a far sentire queste urla silenziose.
E’ un fuoco che freme, quello che vive nascosto negli occhi dei bambini del Centro Pinocchio, è un fuoco che molti non sanno di avere e si affievolisce non poche volte, ma resiste ogni giorno e torna ad alimentarsi con un pasto caldo, qualche gioco e un po’ di studio assieme.
E’ un fuoco per cui sento che vale la pena spendere un anno della mia vita, e sento di voler farlo fino in fondo. E’ un fuoco che spero profondamente non si spenga mai.
Ilaria Masetto, volontaria IBO in Servizio Civile a Panciu