Tutti i giovedì alle 16,00 era il turno della ludoteca di Maria Consuelo, la ludoteca più impegnativa, che di fatto era la cappella del quartiere, dove acccorrevano orde di 30-40 bambini.
A contenere questa mandria di bimbi scatenati che urlando facevano rimbombare le loro voci acute dentro quella cappella, che assomigliava di più dall’esterno ad un capanone industriale fatto di compensato, c’era Jessica. Jessica era una madre di famiglia che con l’associazione della parrochia dava il suo grandissimo contributo animando i bambini insieme a noi volontari internazionali e a Karina, un’altra mamma volontaria.
Si cominciava con un cerchio e il rito della trasmissione dell’energia che consisteva nello stringere la mano del vicino uno per volta fino a completare tutto il giro del cerchio facendo tornare l’energia al primo che aveva iniziato il rito e concludendo con un forte applauso. Dopodiché ci si sedeva restando in cerchio e si lasciava uno spazio di ascolto per i bambini che raccontavano le loro attualità della settimana. In seguito si proponevano vari giochi di squadra per favorire il senso di aiuto reciproco e il rispetto delle regole.
Infine veniva la parte più divertente che tutti aspettavano con ansia da una settimana: il modulo sportivo! Lo sport proposto durante l’anno non era sempre lo stesso, ma variava ogni due o tre mesi (calcio, pallavolo, ecc..).
Ricordo l’entusiasmo delle bambine e ragazze quando si tirava fuori il pallone da pallavolo che correndo all’esterno si dividevano in 2 squadre e, disegnando il campo sulla sabbia con un solco del piede, erano già pronte per decretare l’inizio. La rete non era necessaria, bastava l’immaginazione.
Quando invece si tirava fuori il pallone da calcio era una vera e propria festa, tutti i bambini iniziavano a correre gridando felici per l’inizio dell’imminente partita.
Fui spettatore del più grande gesto di sportività che io abbia mai visto in una partita di pallone tra ragazzi arbitrando la mia prima partita di calcio in Perù alla festa delle ludoteche nel campo di calcio di Nueva Jerusalem.
Durante una fase di attacco un giocatore della squadra offensiva, chiamato Wilson, fece cadere a terra una giocatrice della squadra avversaria durante un contrasto fisico, io fischiai fallo e ordinai al ragazzo di andare a chiedere scusa. Immediatamente Wilson bloccò l’azione e tornò indietro dalla ragazza che aveva appena fatto cadere maldestramente sincerandosi che non si fosse fatta male e scusandosi con tanta sincerità e rispetto che riuscirono ad impressionare anche me che ero stanco e affaticato da un sole cocente.
Quel’atto di rispetto e fratellanza mi toccò nel profondo perché non solo era un grande atto di spirito sportivo ma, contestualizzato in quel luogo, era un grandissimo gesto di uguaglianza di genere in cui alla ragazza, in questo caso giocatrice che aveva subito fallo per regolamento, erano riconosciuti i propri diritti nella maniera più dignitosa possibile.
Questo fù uno dei segni più evidenti di umanità spontanea e pura ancora esistente in alcune remote nuove generazioni che ancora non sono state inquinate dall’egoismo, dall’agonismo sfrenato e dalla ricerca del successo costi quel che costi.
Mi porterò per sempre nel cuore questo ricordo e anche quel luogo dimenticato dal mondo e denominato come nuovo assientamento umano “Gesù di Nazareth” agli estremi della periferia di Paita: qui quando camminavo per le strade deserte e desolate di quel quartiere, se così si può chiamare, sbucavano fuori dalle case bambini e bambine che correndoti incontro e sorridendo a braccia aperte gridavano il tuo nome sperando in una nuova partita a calcio, quello vero però.
Emanuele Corazza, volontario IBO dei Corpi Civili di Pace in Perù