La mia semi-quarantena in Tanzania, con amore e nostalgia per l’Italia

Noi cooperanti, expat, lavoratori all’estero, o come altro ci chiamiamo, siamo abituati a essere dall’altra parte del mondo.

Non soltanto in senso fisico (spesso, a migliaia di chilometri da casa), ma anche lontani da quello che succede quotidianamente ai nostri familiari, amici, conoscenti. Trascorriamo le nostre giornate anni luce dai problemi e dalle frenesie della vita italiana: il traffico per accompagnare i bimbi a scuola, che fa sempre troppo freddo o troppo caldo, i politici che dicono uno il contrario dell’altro.

E’ una strana sensazione, che forse solo chi ha vissuto questa condizione puo’ comprendere a pieno, ma queste apparenti banalità spesso ci mancano. Ci mancano perchè fanno parte di un mondo che percepiamo comunque come il nostro, perchè è il mondo che conosciamo fin da piccoli, quel mondo che ci ha cresciuti, con cui siamo diventati adolescenti e adulti.

Per le più svariate ragioni ce ne siamo allontanti, molte volte solo temporaneamente; a questo mondo rivolgiamo un pensiero, ogni giorno, o un piccolo ricordo, o un saluto.

Noi che ci ritroviamo poi in contesti così differenti, non facciamo altro che fare paragoni su quanto, in realtà, la nostra Italia sia imbattibile: ma quanto sono belle tutte le cittadine storiche? E i nostri musei? E altro che lunga attesa al pronto soccorso, quanto è efficiente la sanità italiana? E il nostro sistema scolastico? E vogliamo mettere il trasporto pubblico? Va bene, i treni sono spesso in ritardo di minuti, ma sempre meglio che i daladala affollatissimi, che forse passano adesso o forse per oggi non passano più! E la burocrazia italiana, siamo d’accordo, è lenta e complicata, ma niente a che vedere con i garbugli di queste: personale della pubblica amministrazione che in ufficio non c’è, e forse è in vacanza per settimane, o forse torna tra cinque minuti, connessione assente, ore di attesa. E il cibo? In astinenza da grana padano e prosciutto crudo, non riuscaimo neanche ad affrontare il discorso. Anche se ci sono poi lavori, amori, valori che ci allontanano fisicamente per qualche periodo della vita, l’Italia per noi vince sempre tutti i paragoni.

In questa drammatica situazione che l’Italia sta affrontando, ci ritroviamo spiazzati. Il nostro punto fermo, la nostra àncora… Vacilla.

E, contrariamente ad ogni aspettativa, dove siamo, forse per la prima volta, siamo più al sicuro. Non scappiamo da qui, come ci si sarebbe aspettati, ma stiamo ben qui per non tornare di là. Fa male. Fa male sentire la nostra famiglia, i nostri amici, i nostri vicini chiusi in casa. Amici che perdono i nonni, gli zii, i genitori, nel silenzio e nella solitudine più assoluta. Altri amici, medici, infermieri, che in prima linea rischiano per il bene di tutti.

Per noi non sono una novità videochiamate, telelavoro, conferenze via Skype, ma vedere tutte le persone a noi più care utilizzare anche tra loro solo questi mezzi di comunicazione, beh, fa un certo effetto. Vi siamo vicini, ora più che mai, non importano tutti i chilometri che ci separano. Ci mancano ancora di più i genitori che portano a scuola i bimbi nel traffico, le lamentele sul tempo, gli eterni dibattiti politici.

Vorremmo condividere questa bruttura con voi, esserne partecipi, soffrire insieme a voi. Non funziona forse così quando si ha un grosso pezzo di cuore ancora di là?

Ci spaventa il lungo viaggio di ritorno in queste condizioni, e ancora di più ci spaventa rientrare a casa, con i nostri genitori, i nostri nonni, ormai non più giovani, che potremmo contagiare.

Paradossalmente, non ce ne stiamo lontani per solo egoismo.
Qui siamo in attesa.
In attesa di capirci qualcosa.

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Inizialmente sembrava che per ragioni climatiche e genetiche in Africa il virus potesse diffondersi meno, e meno lentamente. In questi giorni siamo assistendo, progressivamente, ad una diffusione del virus in tutti i Paesi, ma con numeri e ritmi decisamenti inferiori rispetto a quelli del mondo occidentale. Ancora non sappiamo però se sia solo una questione di tempo: l’OMS comincia infatti a lanciare i primi allarmi. I numeri, al momento, sono dalla nostra parte. I casi ufficiali di CoVid-19, in Tanzania, sono soltanto venti, alla data odierna. E quanti quelli ufficiosi, ci chiediamo?

Le attività del nostro progetto, No One Left Behind, si sono fermate da un paio di settimane. Il 16 marzo, dopo l’annuncio del primo caso di CoVid-19 in Tanzania, il governo ha emesso le prime restrizioni: scuole chiuse, divieto di eventi e assembramenti.

Il nostro progetto, purtroppo, è principalmente focalizzato sulle attività nelle scuole, che prevedono training, ricerche, eventi di sensibilizzazione.. in poche parole: tutto ciò che potremmo e dovremmo fare, non possiamo farlo più, momentaneamente. Continuano soltanto le attività di ufficio, documenti, file, appuntamenti Skype con l’Italia. Parlare di telelavoro o smart working qui pare esagerato: cerchiamo di avere meno contatti possibili, ma purtroppo viviamo in un Paese non così tecnologicamente avanzato. Risulta necessario, pertanto, avere ancora alcuni incontri di persona, stando attenti a tutte le precauzioni del caso.

Come sempre, facendo uno dei nostri soliti paragoni, normalmente ci verrebbe da preoccuparci: l’efficiente sistema sanitario italiano qui ce lo sogniamo. Le terapie intensive sono pochissime, i respiratori quasi inesistenti. Una buona fetta della popolazione non puo’ accedere ai servizi di cura, la sanità è a pagamento, e molti, a causa di patologie pregresse, presentano un sistema immunitario già deficitario. La maggioranza delle persone sembra non avvertire il senso di un eventuale pericolo imminente. A parte i secchi d’acqua e i saponi che sono comparsi all’esterno di molti negozi, o il nostro appellattivo che si è trasformato da “mzungu” (bianco) a “corona”, la vita trascorre quasi come fossero giorni normali.

Come più volte abbiamo sentito tra i discorsi della gente, qui tante persone devono prendere una decisione: mi chiudo in casa, non guadagno i soldi della giornata e faccio morire di fame la mia famiglia? Oppure vado al lavoro, guadagno i soldi della giornata, sfamo me e i miei figli, e forse eventualmente contraggo il virus? Sembra quasi anche a noi, dopotutto, un dilemma con risposta quasi scontata. Le ripercussioni economiche poi, drastiche ed inevitabili nel nord del mondo, qui al sud saranno ancora più drammatiche.

Solo nei prossimi giorni potremo avere, forse, una visione più chiara delle cose.
Rimaniamo indecisi, in semi-quarantena.

Nel frattempo continuiamo a pensarvi, anche più di prima, intensamente, con amore e nostalgia.

Paola Ghezzi |IBO Italia – Tanzania | capoprogetto