Io sono Rom

Me sem rom. Io sono rom.

“Me sem rom.”

Tre parole. Io sono rom. Sono semplici da dire, no? Non ci vuole niente. Potresti pronunciarle in una frazione di secondo, potresti addirittura non accorgertene, potresti persino andarne fiero.E invece no. Invece non sono per niente facili da dire, invece le si sussurra sottovoce oppure le si zittisce proprio. Invece si fa finta di niente e mi raccomando: se ti chiedono da dove vieni, rispondi solo: “È complicato.”

Perché, in effetti lo è. È complicato dover spiegare, dover specificare ogni volta: “Sì ho origini rom, ma non rubo”, “Sì, sono andata a scuola e so fare a leggere”, “Sì. Sono italiana però sono anche rom”, “No, mio padre non è un alcolizzato”.

È complicato aprire un qualsiasi social e leggere commenti su commenti di persone che sputano odio come se fosse ragione di vita o di morte, come se dovessero fronteggiare un’invasione (i rom e i sinti in Italia costituiscono lo 0,2% della popolazione totale), come se fosse naturale che esista ancora, nel 2018, un ‘noi’ e un ‘loro’. Di persone che urlano alla prima occasione: “Ladri!” e poi votano politici che si smezzano soldi pubblici per farsi le vacanze ai Tropici, per comprarsi una nuova villa, per mangiare sopra l’odio che poco a poco ha prosciugato loro il petto.

È complicato sentirsi soli, sentirsi sconfitti, è complicato nuotare in un oceano di rabbia e non saperselo spiegare. È complicato doversi difendere da chi spara a zero su una cultura così viva, da chi dice: “Siete tutti uguali” e in un campo nomadi non ci è mai entrato, non si è mai fermato a parlare con uno ‘zingaro’, non ha mai chiesto ai suoi bambini: “Ma tu che cosa vorresti fare da grande?”.

Salvini, io non ti odio. Non ti odio perché mi fai una tristezza infinita. Perché mentre sei occupato a scavare fosse in cui sotterrare le stesse persone con la cui rabbia e con la cui ignoranza stai costruendo un impero di carta straccia, mentre sei occupato a sfamare la tua sete di profitto ai danni dei più deboli, non ti sei mai posto la domanda: “Che cosa rimarrà di tutto questo odio?”. Non ti sei mai chiesto il numero di vittime che stai facendo nel silenzio generale, non saprai mai i loro nomi, non ascolterai mai le loro storie, non li guarderai mai negli occhi.

Sprecherai la tua vita, il bene più prezioso, a portare rancore e ad alimentarlo, a puntare il dito, a sbattere i piedi per avere sempre più denaro, sempre più potere. E alla fine, alla fine di tutto cosa rimarrà di tutto questo? Di questa guerra silenziosa e subdola, della tua poltrona?

Un rom sa che niente ritorna, sa la disarmante bellezza della fugacità. Per questo, sai, ci è difficile odiare, ci è difficile portare rancore.

È complicato essere rom quando un ministro, una figura che dovrebbe fare il bene della propria gente, una figura che dovrebbe essere professionale e competente, cerca invece di distruggere ogni briciolo d’umanità rimasto ai propri cittadini, aizzandoli come cani gli uni contro gli altri, sfornando denaro con le trincee poveri contro poveri, sbavando sulla disinformazione come sua arma principale.

È complicato, sì. Ma la sai una cosa, Matteo? Non cambierei le mie origini per niente al mondo. Non le cambierei perché io, a differenza tua e dei tuoi elettori, conosco la mia Storia, la nostra Storia. Perché io sono rom ma sono anche italiana e nessuno, nessuno potrà mai togliermi la forza che deriva dalla consapevolezza, dall’ascolto, dalla comprensione che le mie origini mi hanno insegnato. Nessuno potrà mai spegnere il suono del violino e delle chitarre, di Ederlezi, dei cupauzi intorno al fuoco, delle canzoni delle vecchie e delle ninnananne un poco amare, un poco tristi, un po’ che fanno male e un po’ che ti pizzicano il sangue, i racconti della morte e i racconti, soprattutto, della vita.

Morena Martina Pedriali, volontaria in Servizio Civile in Italia