Parte Prima - La metafora dei palloncini bucati a Nairobi

Parte Prima – La metafora dei palloncini bucati a Nairobi

Se passeggiando per la periferia di Nairobi accanto alla scritta “Corradini catholic primary school” si legge “Vision: to be a center of excellence in providing the quality and basic education” e accanto “mission: to provide the quality education for the Whole development of a child“, la sorpresa lascia il posto alla speranza che qualcosa possa cambiare, che si stia lavorando per uno sviluppo sostenibile, che la persona sia al centro di un progetto.

Lungi da me dal voler fare pietismi, moralismi o la saga dei buoni sentimenti, il contesto in cui si inserisce il presente articolo è il sincero desiderio di condividere e valorizzare un’esperienza fatta (attraverso IBO) presso un istituto religioso in Kenya gestito dalle suore Collegine della Sacra Famiglia di Palermo, a Nairobi; questo dal 5 al 23 giugno scorso.

La capitale del Kenya è una delle più grandi città africane e tristemente famosa per le baraccopoli, dette slum, nate attorno alla cintura urbana. Ve ne sono a decine e si sono sviluppate attorno alle discariche, paradossalmente luogo e opportunità di sopravvivenza per molte persone; sovraffollamento, condizioni igieniche al limite della dignità, violenze di ogni tipo e altre realtà difficili, caratterizzano la vita in questi luoghi che sembrano dimenticati da Dio ma anche dagli uomini, quelli che hanno il potere ma per i quali tali luoghi sono un inferno irreversibile o una seccatura.

Posti dove si trova un numero non quantificabile di bambini, i cosiddetti street children, che vivono la contraddizione di portare con sé, come ogni bambino, speranze e potenzialità, ma anche esempi di devianza, abbandono scolastico, lavoro minorile e quanto la miseria possa fare immaginare. Il progetto dove ho fatto questa esperienza è localizzato nel villaggio di Mihanho, distretto di Embakasi. Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla mediazione di IBO ONG e ONLUS, organizzazione con sede a Ferrara, impegnata nel campo della cooperazione internazionale e del volontariato, in Italia come nel nel mondo.

Torno all’esperienza e cerco di dare un po’ di ordine ai tanti pensieri che arrivano al ricordo di quei giorni.

Partire è la condizione per rigenerarsi, per cambiare “occhiali” e punti di vista. In prospettiva della partenza diventa un piccolo problema cosa mettere nella valigia, non tanto per gli effetti personali quanto per quello che si vorrebbe portare per dare una mano ai bambini o a chi è nella missione. La tentazione è di mettere dentro delle cose occidentali, cose per noi normali e quotidiane. Questa volta ho portato via matite colorate e fogli, dei palloncini colorati (scelta che ha fatto anche l’altra volontaria, Sofia, con cui ho condiviso il viaggio), e delle bambole di pezza e cotone fatte a mano da una conoscente.

Confesso che il giorno che abbiamo deciso di utilizzare i palloncini modellabili a varie forme, sono durati in sostanza pochi minuti perché venivano sistematicamente bucati dalla involontaria foga di giocare dei bimbi o dalle condizioni ambientali (terra riarsa e cemento). Con qualche senso di colpa ho pensato che avevo commesso un errore a portandoli via perchè sono cose che non fanno parte della loro cultura con poca plastica (fortuna loro); gli stessi bambini però mi hanno fatto passare gli scrupoli quando ho visto come hanno riutilizzato i palloncini rotti: sfruttando la loro forma allungata, sono stati pazientemente attaccati uno a uno e usati poi come una corda per giocare al classico salto alla fune: hanno di fatto trasformato un oggetto individuale e non più utilizzabile, in un qualcosa che ha avuto una maggiore resistenza, e soprattutto è diventato un gioco di gruppo, lezione che non dimenticherò.

Ci sarebbero molti altri episodi da raccontare, l’orizzonte di queste tematiche è vasto così come anche i punti di vista e le cose da fare. Ci sarebbe da parlare di persone come Suor Lucia, che nel buio della notte africana si alza alle 4.30 per pensare a come dare da mangiare e sostenere l’istruzione dei 250 bambini della sua struttura, cosa che avviene nel perfetto anonimato mentre siamo abituati a sentire il clamore di religiosi con perversioni sessuali o che hanno dimenticato lo spirito di servizio. Impossibile parlare di tutto, anche perché l’invito è quello di provare a fare una di queste esperienze che davvero possono cambiare il modo di vivere e di pensare, mettendo in discussione il nostro comodo quotidiano che troppo spesso diamo per scontato o che addirittura ci annoia nella sua sterile opulenza.

I pensieri che si fanno durante queste giornate osservando come le persone affrontano le difficoltà del vivere quotidiano con modalità e strategie per noi impensabili, fa davvero riflettere sul rispetto e sulla considerazione che si devono a culture e società troppo spesso rapidamente squalificate e svalutate. Comunità che hanno difficoltà e problemi, ma nel cui seno racchiudono anche risorse e potenzialità.

Un’esperienza quindi controcorrente perché siamo abituati a pensare alle ferie come comodità, evasione o riposo, ma al termine della quale, come nelle esperienze precedenti, nonostante abbia lavorato sodo, spaccato legna, scartavetrato e tinteggiato pareti, mi sia alzato all’alba, fatto giochi pesanti per la schiena di un quarantenne con bambini instancabili, e molto altro, la sensazione è comunque quella di una depurazione, di una rigenerazione sorprendente anche se non inaspettata. Il paradosso sta nel nulla di materiale di questi bimbi che diventa il tutto, perché diviene la bellezza e la gioia dello stare assieme con salti, balli e canti, con modi sempre nuovi.

E’ l’invito che Coelho fa nell’introduzione de “L’alchimista” quando dice che in un viaggio è importante sì la meta, ma anche le persone che si incontrano nel percorso, i luoghi che si visitano nel cammino, i porti cui si attracca, le scoperte che si fanno. La bellezza e il valore dell’incontro dunque e delle sue infinite potenzialità.

Giorgio Zoccatelli, volontario IBO del Campo di Lavoro e Solidarietà a Nairobi (Kenya)
Concorso Letterario 2018 “Racconti di una esperienza”

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