Parte Seconda - Il contesto generale dell’esperienza

Parte Seconda – Il contesto generale dell’esperienza

In questa seconda parte vorrei tentare di fare una riflessione più generale. Non è mia intenzione quella di parlare direttamente dell’esperienza di cui ho raccontato nella prima parte, magari autoincensandomi anche perché, come spesso accade quando si fanno queste esperienze, è più quello che si impara e si “porta a casa” rispetto a quanto si riesca a dare.

Difficile fare generalizzazioni, ma il ragionamento è più legato alla possibilità di creare condizioni di sviluppo locali, sostenibilità e crescita affinché non ci sia la necessità di migrare per disperazione economica o pericolo di vita. Ciò di cui principalmente c’è bisogno in queste terre, oltre alla pre-condizione della pace, poggia a mio avviso su quattro pilastri: accesso ad acqua, strade, sanità e istruzione.

Sono quattro punti che hanno anche delle correlazioni molto strette perché se vi è la possibilità ad esempio di trasportare l’acqua raccolta attraverso appositi impianti in maniera più capillare, si potrebbe avere (solo per fare un esempio) una minore proliferazione di malattie infettive e una minore dispersione scolastica considerando che molti bambini vengono quotidianamente mandati a fare chilometri su chilometri per recuperare una tanica di acqua; oltre all’economia che vi ruoterebbe intorno grazie al lavoro.

Gli esempi da questo punto di vista sarebbero molti; parlando con chi è sul campo sia come cooperante che volontario, ma anche e soprattutto con la gente del posto, la sensazione è che non ci sia bisogno di container zeppi di cose da importare: se arrivano strumentazioni sanitarie come apparecchi per una radiografia o una ecografia (ma vale anche per un trattore come ho sentito), e poi si incontra un problema tecnico senza possibilità di manutenzione e riparazione, si tratta di soldi buttati; costruire pozzi per l’acqua senza formare persone del luogo su come poter affrontare qualche imprevisto meccanico, significa che quel pozzo dopo qualche mese sarà fuori uso divenendo una giostra per i bambini, come ho visto con i miei occhi.

E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Decenni di cooperazione internazionale hanno mostrato che l’invio di aiuti è servito a poco, o addirittura ha creato distorsioni nella misura in cui hanno generato assistenzialismo laddove non ci sono stati dei percorsi di accompagnato allo sviluppo.

Le situazioni “calde” solo per parlare dell’Africa sono molte, desolatamente assenti da TV, giornali e social. La guerra civile in Sud Sudan e Somalia, la vergognosa piaga dei bambini soldato, i problemi politici in Eritrea, Ciad, Mali, regimi oppressivi e assenza di libertà in molti Paesi del nord dell’Africa, per non parlare di carestie, analfabetismo, assenza di assistenza sanitaria, scelte sbagliate (e non certo per sviste o errori di valutazione) su politiche economiche e commerciali che concentrano molti soldi e molto potere nelle mani di pochissime persone, sono l’ABC dei problemi che attanagliano strutturalmente molti paesi e che hanno radici storiche nelle quali il colonialismo europeo ha responsabilità mai affrontate seriamente. Tutti dobbiamo sentirci responsabili e IBO ha nel DNA questa sensibilità e desiderio di promuovere uno sviluppo sostenibile, di costruire ponti con le realtà associative o religiose in territori svantaggiati; sono occasioni da non perdere per la formazione di un tessuto sociale e comunitario protettivo e nutritivo.

L’Africa è scuola di vita. Si impara ad ascoltare e osservare prima di fare.

Ho imparato innanzitutto che ci sono alcune caratteristiche senza le quali si rischiano frustrazione, fallimenti, nonostante la buona volontà. Prima di tutto è necessario capire che i nostri bisogni non sono i loro bisogni, e viceversa; che le nostre esigenze non coincidono con le loro e quindi prima di tutto è necessario capire cosa può loro servire, dopodiché si potrà valutare se e come intervenire: i nostri bisogni sono prettamente materiali, legati al consumo e allo svago; qui invece bisogna arrivare alla fine della giornata più che alla fine del mese.

Poi le priorità sono diverse, ciò che per noi può essere importantissimo e vitale, in Africa può non esserlo, e viceversa; ad esempio per noi l’acqua è scontata e sprecata, mentre in questi Paesi è una necessità da recuperare tutti i giorni, da usare e da non sprecare al punto che recuperarla può diventare il lavoro dei bambini con conseguente abbandono dell’istruzione e relative conseguenze sulla loro vita futura. O il valore dell’attesa, del non fare e avere tutto subito secondo la mentalità occidentale che ci vede super efficienti ma altrettanto stressati e logorati.

In queste realtà ci sono molte contraddizioni: si passa da una splendida natura, colori e sapori da invidiare, a canali diventati fogne a cielo aperto, situazioni educative caratterizzate ancora da metodi autoritari e violenti, una sanità privata che non cura chi non se lo può permettere, o la mancanza di molti altri servizi che ormai per noi sono scontati.

Ma se penso alla nostra società, penso che anche qui ci siano delle contraddizioni: eccellenze, diritti sociali, libertà, semplificazioni sotto tanti punti di vista, ma anche l’aumento di femminicidi, separazioni, litigiosità, adolescenti senza punti di riferimento storditi da beni materiali con cui i genitori cercano di colmare assenze educative e affettive. E l’elenco potrebbe continuare.

Quindi non credo sia corretta l’idea una visione di una società migliore o superiore a un’altra in ottica manichea; già il saggio Aristotele parlava del giusto mezzo. D’altronde in una realtà come quella italiana nella quale la crescita demografica è negativa, i giovani vanno all’estero per trovare lavoro e gli anziani se ne vanno a godersi la pensione in altri Paesi, ci sarà pur da mettersi in discussione e porci qualche domanda, alzando lo sguardo rispetto ad una società contemporanea che vive invece a testa bassa, piegata sul proprio smartphone.

Giorgio Zoccatelli, volontario IBO del Campo di Lavoro e Solidarietà in Kenya
Concorso Letterario 2018 “Racconti di una esperienza”

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