Primi giorni a Panciu: i bambini del Centro Pinocchio

 Arrivo a mezzanotte passata a Panciu. Aspetto tre minuti alla fermata poi si presentano i volontari del posto ad accogliermi: sono tantissimi.

Dove sono? Sono in Romania ma tutti mi parlano in inglese, perfino quelli che credevo italiani. Mi accompagnano a casa. Vado subito a letto, sono troppo stanco e spaesato anche per farmi una doccia. Avevo preso un po’ sottogamba questa questione della lingua. Quando mamma e papà mi dicevano che l’inglese mi sarebbe servito nella vita non ho dato giusta importanza alle loro parole. Il giorno seguente era un sabato, significava niente lavoro – si può chiamare lavoro? – fino a lunedì. Faccio un giro per Panciu e mi accorgo che così diverso dalle altre città italiane ed europee non è. Certo, non è Hollywood, ma non è nemmeno il terzo mondo. Ci sono tre banche nella via principale. Ci sono tanti supermercati, c’è anche un italian shop. Gli edifici sembrano le case popolari di Bari, mi ricorda vagamente il quartiere San Paolo. Il primo giorno di lavoro – lo scrivo in corsivo ma tanto ci intendiamo – è molto tranquillo. Monica, la coordinatrice, mi accoglie con un “bună dimineața”. Ed ora che voleva dire? Non bastava l’inglese? Cerco di farmi forza e trovo qualche parola in inglese nel mio scarno vocabolario pronta per l’occasione. Avrà capito? Non ci penso troppo e comincio a mettermi al lavoro. I bambini cominciano ad arrivare per le 12 circa e provo subito a fare conoscenza.

Non conosco neanche una parola di rumeno ma fortunatamente c’è una palla. Quando dicevano che il calcio è uno strumento potentissimo pensavo solo ai miliardi che le squadre inglesi guadagnano grazie ai diritti televisivi. Quando dicevano che con la palla si potesse parlare pensavo ai passaggi no-look di Totti. Ho scoperto the other side of the ball. Uno strumento di coesione sociale più forte del caffè al bar di prima mattina. Il caffè, a proposito del caffè, cos’è questa brodaglia che bevono qui? Perché la chiamano caffè? Mi faccio forza, non do a vedere i miei sentimenti nazionalistici e butto giù l’acqua sporca. Da domani però il caffè lo faccio io. Pensavo di arrivare a Panciu per fare il volontario, mi sono ritrovato a fare il barista. Ma torniamo ai bambini.

Loro non bevono caffè, ma alcuni di loro fumano le sigarette. Ma che dico sigarette, magari fumassero quelle. Purtroppo non hanno i soldi per comprarle. Fumano le cicche che trovano per terra. No, in questi casi non vale la regola dei cinque secondi e comunque sono convinto che non stiano a badare troppo a quando siano state buttate.

Non l’ho scoperto il primo giorno, il primo giorno sembrava tutto bello e ovattato. Il primo giorno sembrava che il problema della lingua fosse quello insormontabile. Dopo un mese però io un po’ di inglese l’ho imparato, loro fumano ancora.

Giorno dopo giorno imparo a conoscere le situazioni specifiche dei ragazzi. C’è chi vive senza acqua e senza luce in case ben lontane dalle altre. Nascoste da un’apparenza di relativo benessere, appena fuori dalla città. E magari fosse il problema più grave quello dell’acqua! Ci sono ragazzi con precedenti con la legge. C’è chi ha i genitori defunti e vive con quelli dell’amico. In pochi vanno a scuola con regolarità, nessuno comunque è mai arrivato a finire il liceo. Alcuni di loro non hanno da mangiare e fanno l’elemosina vicino ai supermercati. Un paio di loro hanno problemi di alcolismo. Ah, sì, dimenticavo di dirvi l’età. Hanno al massimo 12 anni. Io all’età loro andavo a giocare a pallone al campetto sotto casa. In realtà pure loro giocano a pallone, ma qui al Centro.

Alla fine dei conti non siamo poi così differenti. Come ero bambino io lo sono ora anche loro. Giocavo a pallone per divertirmi ma ero sereno anche dopo, loro invece per un motivo o l’altro, hanno solo quel momento per sentirsi così.

Alberto Visceglia, volontario IBO in Servizio Civile a Panciu