Restiamo umani

Sono seduta sul treno, direzione Parma, ho caldo. Dove sto andando? Chi me l’ha fatto fare? Cosa troverò? Sono sempre più vicina all’arrivo. In fondo, dài, è solo una settimana. Una settimana è un tempo che può essere brevissimo o infinito.

Al campo ho scoperto che può essere entrambe le cose insieme. I primi tre giorni sono sembrati lunghissimi, gli ultimi quattro sono volati e non me ne sono neanche accorta. Il giorno prima faticavo a ricordare i nomi dei miei compagni e il giorno dopo li abbracciavo per salutarli, da vecchi amici.

Sono arrivata, ci siamo appena presentati, stanno piano piano arrivando tutti. Mi guardo intorno e penso a quanto è intricato il groviglio di casualità che ha portato una ventina ragazzi da tutto il mondo a stare qui seduti a guardarsi negli occhi nel giardino di una comunità a Vicomero, Torrile, Parma.

La settimana comincia. Tutte le mattine ci alziamo presto e puliamo solai, raccogliamo pomodori, distruggiamo mobili da buttare, trasportiamo mucchi di legno, smontiamo lampadari. Chissà poi da dove ci viene la voglia di fare tutto questo, e di farlo col sorriso. Sono arrampicata su un solaio, sto spazzando per terra insieme a quelli che per ora sono tre perfetti estranei; ma c’è un senso di collaborazione, e di voglia di conoscersi che ci fa lavorare leggeri.

Al campo, durante le giornate lunghe dove tutto è sempre nuovo, ho imparato tanto.

Ho imparato che ci sono parole che ti danno degli schiaffi. Vittorio Arrigoni era un attivista per i diritti umani, ucciso a Gaza nel 2011, a 36 anni. Abbiamo incontrato sua madre, Egidia Beretta, che ci ha parlato di suo figlio con una sincerità commovente, e con la voce un po’ incrinata ci ha riportato la risposta di Vittorio, quando gli chiedevano come facesse ad andare in Palestina e rischiare la propria vita: “Ma io mi chiedo come fate voi, a rimanere tranquilli a casa, indifferenti alla terribile sofferenza dei vostri vicini dall’altra parte del mare?” Questa domanda mi ha attraversata con tutta la sua lucidità e incredibile forza: come facciamo?

Ho imparato che ci sono parole che ti ridimensionano. Parlando con i miei compagni, mi sono resa conto del fatto che mentre io stavo tranquillamente a casa, un ragazzo della mia età attraversava il deserto a piedi, un altro veniva arrestato, un altro cercava di curare la sua gamba rovinata da un’operazione sbagliata. E quando lo realizzi, tutte le cose che succedono nel mondo ti appaiono improvvisamente più vicine, e la consapevolezza che se solo fossi nata in un altro paese sarebbero potute succedere a me si fa più concreta, e più difficile da ignorare.

Se cerco di pensare a tutto questo, a come siamo finiti qui adesso tutti insieme, alle parole “restiamo umani” e al loro significato, sdraiata su un’amaca una sera d’estate a parlare con altri ragazzi che forse stanno pensando le stesse cose, la sensazione è che la testa non possa contenerli tutti, questi pensieri. Che sto provando delle sensazioni così particolari, così dense, che non sarà semplice raccontarle agli altri, una volta tornata a casa.

Il campo finisce e non ci si crede che alcune di queste persone non le rivedrò mai più; che col passare dei giorni le emozioni di questa settimana si faranno meno vivide, più lontane, così come i legami creati che adesso mi sembrano così forti.

Sono sul treno, direzione casa. La musica e il paesaggio che scorre aiutano a far fluire liberamente tutti i pensieri, in una serie sconnessa di immagini e momenti. E’ rilassante viaggiare verso posti noti, perdendosi tra i ricordi di tutte le cose nuove appena vissute. Li lascio scorrere, chiedendomi quali di tutti questi momenti mi ricorderò più a lungo. Alla fine c’è un pensiero che si distingue e affiora con delicatezza racchiudendo tutti gli altri.

Meno male che sono partita.

Emanuela Frigerio, volontaria IBO Campo di Lavoro e Solidarietà a Vicomero (in collaborazione con Solidarietà Muungano Onlus)
3° classificato Concorso Letterario 2017 “Racconti di una esperienza”