
07 Feb Storie di un animatore nel deserto
Mi chiamo Emanuele, ho 25 anni e questa è la mia storia.
Sono animatore, scout, snowboarder, pizzaiolo e, in questo momento, membro dei Corpi Civili di Pace in Perù. A Paita da ormai sei mesi, mi sto finalmente adattando a questo clima prevalentemente desertico con periodi di forti venti e di ancor più forti piogge tropicali. La città in cui mi trovo ha quasi 200.000 abitanti ed era in origine un porto marino storico con un’economia basata sulla pesca. Attualmente è in forte espansione grazie anche all’enorme attività commerciale portuale che crea molto lavoro.
Il mio servizio si svolge principalmente nell’ istituzione scolastica primaria Fe y Alegria n°81 dell’assientamento umano di Miraflores di Paita, all’estrema periferia della città, oltre i suoi confini cartografici. Sì perché in realtà la città è molto più grande di quanto si possa dedurre dalle rappresentazioni di una qualsiasi carta topografica. Infatti l’ultimo anello periferico (largo in alcuni punti anche diverse centinaia di metri) è completamente occupato in modo abusivo. Si tratta di una zona di proprietà dello Stato o della Marina militare, abitata principalmente da famiglie povere o estremamente povere alle quali non viene riconosciuta la proprietà del terreno su cui risiedono. Questo stato di cose pone coloro che vivono qui nella condizione di non poter accedere ai servizi pubblici, come acqua e luce, né di essere riconosciuti come residenti, con tutti i diritti che questo comporta.
Ma il problema principale non è il piano regolatore dell’urbanizzazione di Paita, è invece l’analfabetismo, conseguenza della scarsa disponibilità di scuole pubbliche accessibili a tutti.
Per quanto ho potuto vedere in questi mesi, stimo che a Paita almeno un bambino su quattro non vada a scuola, o perché non trova posto nelle 3 o 4 scuole pubbliche più grandi, oppure perché non ha abbastanza soldi per permettersi un’istruzione privata. Questo fenomeno è già visibile nei ragazzi della mia generazione, che qui in Perù, in media, sono già genitori di 2 / 4 figli. Molti di loro hanno frequentato solo la prima elementare e alcuni non sanno nemmeno scrivere il proprio nome. Per questa mancanza di istruzione fanno molta fatica a trovare lavoro e di conseguenza a provvedere al mantenimento delle loro famiglie.
[metaslider id=12668]
Un problema correlato a quello dell’analfabetismo, che contribuisce a generare questa situazione di povertà, è, per quello che sto vedendo, la mancanza di una educazione alla salute sessuale e riproduttiva. Qui la sessualità è considerata ancora un tabù e non se ne parla agli adolescenti fino all’età di 15 anni, il che preclude loro la possibilità di diventare consapevoli del proprio corpo e responsabili nella gestione della propria fertilità. Le ragazze qui in Perù rimangono incinte già all’età di 13-14 anni, senza aver avuto il tempo di maturare abbastanza per poter crescere un figlio con la piena coscienza del loro ruolo genitoriale. Se poi pensiamo alla scuola in cui presto servizio che è sì pubblica ma che ha come direttrice una rappresentante della Congregazione delle Figlie di Santa Ana (come per tutta l’organizzazione di Fe y Alegria), come potrete immaginare, il tema è ancora più delicato.
Insomma, ogni problema qua sembra un circolo chiuso senza possibilità di soluzione. In realtà c’è sempre una soluzione, solo che per raggiungere un qualsiasi traguardo c’è bisogno di molta tenacia, di grande determinazione e di tempi lunghi perché è davvero un’attimo perdersi tra i nuvoloni di polvere alzati dal vento caldo del pomeriggio…
Un’altra questione drammatica qui a Paita è quella dell’alimentazione. Mi è capitato di conoscere svariati casi di bambini malnutriti o colpiti da malattie e infezioni causate della scarsa igiene in cucina o da un’alimentazione inadeguata. Le scuole in questo sono risorse preziosissime per la loro opera di educazione e prevenzione. Insegnano al bambino che bisogna sempre lavarsi le mani con il sapone prima di toccare il cibo e alle mamme le norme igieniche fondamentali da rispettare nella preparazione dei cibi. Per questo vengono coinvolte a turno nel preparare la colazione ai bimbi a scuola, e viene insegnato loro a riconoscere l’importanza delle diverse sostanze nutritive necessarie per la crescita del bambino. Il problema con cui la scuola deve fare i conti è che spesso l’educazione data ai bambini dagli insegnanti non trova corrispondenza con ciò che imparano in famiglia dai loro genitori, buttando all’aria in molti casi tutto il lavoro fatto a scuola per cercare di far acquisire ai bambini abitudini corrette, utili a prevenire malattie e carenze nutrizionali.
Così l’igiene delle mani, come tante altre piccole cose, vengono sottovalutate per colpa di un sistema che non si occupa della formazione di quei ragazzi che oggi sono genitori, troppo giovani e poco consapevoli per crescere dei figli.
Ma paradossalmente la cosa che mi ha indignato di più e mi ha fatto riflettere sulle cause che stanno a monte dei problemi che ho incontrato in Perù, non è successa a Paita, ma a Roma. E’ stata una contraddizione, per me assurda e inaccettabile, con la quale mi sono dovuto confrontare al mio ritorno in Italia per una sessione di monitoraggio condivisa con tutti gli altri miei colleghi del Corpo Civile di Pace. Mi riferisco allo spreco di decine e decine di pasti a cui ho assistito per una scarsa attenzione di chi aveva la responsabilità di organizzare l’incontro.
Allora mi chiedo se sia più utile andare dall’altra parte del mondo per combattere il problema della povertà e della fame oppure rimanere in Italia per combattere una delle cause prime della povertà e della fame: lo spreco sfrenato e senza coscienza di chi, come noi, vive in un paese “ricco e sviluppato”.
Emanuele Corazza, volontario IBO con i Corpi Civili di Pace in Perù