
24 Nov Sulle tracce dei Re
È l’ora del tramonto nella savana africana.
Siamo appena scesi dalla jeep di “Leo Africa” per ristorarci con un buon thè caldo. Il sole lentamente muore dietro le nostre spalle. Ogni cosa, in questa precisa fase del giorno, si colora in modo diverso, aureo, poetico. L’azzurro del cielo si dirada in un viola tenue e una sottile linea grigia, quasi impercettibile, sfuma nell’arancione e nel rosso. Le rocce delle montagne parlano da sé. Ora sono rosa e a tratti rosse. Sono uno specchio della luce che le rende vive, che le lascia respirare. I rami degli alberi intanto toccano il tramonto, lo perforano, diventano totem e simbolo della natura che mi circonda.
È il 19 agosto. Sono passati solo quattro giorni dal mio primo incontro con il suolo sudafricano. Sono qui come volontario per l’associazione “LeoAfrica” che si occupa della tutela e della conservazione degli animali all’interno della riserva naturale Marataba, sezione privata del parco nazionale Marakele. Sono qui e non voglio essere altrove. Venti giorni a contatto con la natura. Venti giorni in cui i miei occhi si possono riempire di meraviglie e dove posso gustare, assaporare con lo sguardo il sole che nasce e che muore. Siamo sulla jeep tutti i giorni per rilevare, identificare i “Big five” (leoni, elefanti, rinoceronti, bisonti, leopardi) e per capirne il loro stato di salute. Il nostro lavoro inoltre è quello di fare manutenzione dei sentieri del parco e raccogliere rifiuti presenti nel bush.
Durante la pausa, parliamo degli animali appena incontrati. Poi si lascia spazio alla convivialità. Siamo dieci volontari che, oltre alla colonia italiana, provengono da diverse parti dell’Europa. Le risate sono all’ordine del giorno anche perché con Sabrina, la nostra guida, è impossibile rimanere seri.
Cala la sera e all’improvviso la radio della jeep comincia a gracchiare. Sabrina ci dice che sono stati avvistati i re a una ventina di minuti dalla nostra zona. Butto per terra l’ultimo goccio di thè che mi rimane e mi fiondo sulla jeep. Comincia la nostra caccia. Il volto di Sabrina è teso, concentrato. Vuole vederli come tutti noi. Per cercare gli animali, dopo il tramonto, utilizziamo delle torce.
Le luci artificiali aprono varchi nel buio. Siamo ospiti della natura. Bussiamo alle porte della notte e, in punta di piedi, cerchiamo tesori dentro bauli antichi. Siamo circondati dalle stelle. Sono loro che regnano sovrane. Ci danno la sensazione di essere piccole formiche nel mezzo della vastità dell’Universo che ci circonda. Se vediamo un luccichio significa che il raggio di luce della torcia ha intercettato gli occhi di un animale.
Per il momento non vediamo nulla. Io sono nel posto del passeggero, dietro ci sono i volontari con le torce che osservano come me alla continua ricerca di una presenza nel buio. Sabrina parla poco. Cerca di decifrare le coordinate dell’ultimo avvistamento dei re suggerite dalla radio. Dietro di me nessuno parla. C’è attesa, desiderio di una scoperta. Ciò che sento è il vento sulla mia faccia. Con la jeep senza vetri, né finestrini è come essere su una seggiovia di un impianto da sci. È incessante e costante il freddo che mi penetra negli occhi e che fa sgocciolare il mio naso. Ma si resiste. Sabrina si accorge di una jeep dei ranger del parco accanto alla strada. Si ferma e chiede informazioni. Ci avvisano che i re sono dietro al cespuglio . I ranger ci salutano e poi se ne vanno. Sabrina parcheggia. Le torce sono puntate nel bush. La vegetazione così fitta, dalla mia posizione, non mi consente di vedere nulla. Loro sono lì ad un passo. I miei compagni vedono una sagoma che si alza. È proprio un re ma è nascosto, difficilmente identificabile. Mi arrabbio con me stesso. Ho pensato che, mettendomi davanti, avrei avuto una visuale migliore. Invece ho preso un due di picche.
– Posso andare dietro?- faccio a Sabrina impaziente.
– Certo- mi dice mentre ha il binocolo sugli occhi.
Sto per aprire la portiera.
– Vai dietro scavalcando! Sei matto aprire la porta con loro?!-
Le chiedo scusa. Una leggerezza da volontario.
Nemmeno dietro riesco a scorgerlo bene. Mi sono rassegnato all’idea di non vederne altri. Sconsolato e afflitto mi faccio trasportare dalla jeep verso la conclusione di questa giornata esplorativa nel bush. Non riesco a darmi pace. Perché non posso vederli anch’io? Devo darmi tempo. Ho ancora altre chance. Sabrina continua la sua esplorazione. Percorriamo le strade dissestate del parco. Mi balla il sedere ogni volta che prendiamo una buca. Dobbiamo stare attenti ai cespugli pieni di spine, che entrano nella jeep. Ci facciamo largo tra la vegetazione e Sabrina imbocca all’improvviso una strada. Ci ritroviamo nel mezzo di una radura. Silenzio. In lontananza sentiamo solo il canto di alcuni uccelli.
C’è qualcosa lì nel buio, c’è un luccichio di occhi, un tesoro sepolto tra la terra rossa africana. Puntiamo le torce e i fanali verso quegli sguardi. Dormono mentre li guardiamo. Sono grandi gatti che si fanno cullare dal torpore della notte. Sono, allo stesso tempo, paura e dolcezza, crudeltà e compassione. Sono bombe a orologeria pronte a esplodere da un momento all’altro.
Eppure sembra che la nostra presenza non dia fastidio. Sbadigliano, si stiracchiano. Uno dei due si alza e va a dormire da un’altra parte. Io sono in silenzio ad adorarli, ad ammirare le loro criniere maestose, a osservare i loro sguardi assonnati, i loro occhi gialli. Non ci posso credere. Non ci voglio credere. Li abbiamo trovati. Sono al cospetto della magnificenza, del simbolo della forza, della potenza. Sono re liberi dalla schiavitù degli zoo, dalle gabbie, dai giochi sporchi e meschini degli uomini. Sono liberi di poter essere creature selvagge. Sono loro, i leoni, i veri re della foresta.
Jader Girardello, volontario IBO Campi di Lavoro e Solidarietà, Sudafrica
Concorso Letterario 2017 “Racconto di una esperienza”