
26 Feb Una scuola all’aria aperta in Madagascar
I bambini del centre ville sono tanti, troppi. Passano le loro giornate come capita, chiedono l’elemosina, giocano ai margini della strada: una bottiglia e dei tappi diventano una macchinina da portare in giro con un cordino, un bastone e una ruota qualcosa con cui correre, i cumuli di pattumiera un luogo dove trovare qualcosa da vendere o da mangiare. Gli altri bambini che fanno la stessa vita diventano compagni inseparabili, ma possono anche essere potenziali rivali.
Tutti si conoscono, le voci corrono veloci e i pranzi sociali che Omeo Bon Bon, la realtà locale presso la quale sto svolgendo il mio Servizio Civile, organizza ormai da un paio d’anni due volte al mese sono diventati un appuntamento fisso.
Questi bambini li ho conosciuti così, poco dopo il mio arrivo, un venerdì di fine settembre. Arrivano un po’ prima dell’orario, chi con un fratello più piccolo sulla schiena, chi con un sacco inseparabile con chissà cosa dentro, chi con l’aria di non mangiare qualcosa di sostanzioso da un bel po’; aspettano impazienti di lavarsi le mani per poi entrare in questo locale dove quando tutti hanno il piatto davanti, si ringrazia con una preghiera e si mangia l’immancabile riso ma con la carne. Ormai quando cammino per strada o sono su qualche mezzo, li cerco con lo sguardo. Sono ovunque, ma ognuno con i suoi posti preferiti: c’è chi sta sempre fuori dall’unico supermercato della città, chi vicino alla farmacia, chi alle fermate dell’autobus. Quando ci incontriamo hanno smesso di sollevare la mano con il palmo aperto verso l’alto e una richiesta sulle labbra, quello che fanno è dire un bel “ciaooo” come hanno imparato e poi sono loro stessi a ricordarmi l’appuntamento successivo.
Si, perché adesso qualcosa è cambiato, il solo mangiare insieme non ci sembrava più abbastanza per questi bambini che a volte sono anche più di 100, ed è così che da un paio di mesi è nata l’idea di provare a fare qualcosa di più insieme.
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Inizialmente abbiamo cominciato trovandoci in un terreno vicino alla stazione per giocare, ci siamo armati di tre palloni e abbiamo passato il tempo così. Ma poi è nata “la scuola all’aria aperta”. Due volte a settimana per un paio d’ore si fa qualcosa di diverso, il gioco non manca, ma c’è la voglia di incuriosire questi bambini, di fargli venire voglia di apprendere e quindi di cominciare o ricominciare la scuola. Molti di loro hanno infatti lasciato gli studi per i motivi più disparati: il dover lavorare per aiutare i genitori, la mancanza di soldi, l’impossibilità nella continuità. Così il tasso di abbandono scolare qui a Fianarantsoa è molto alto e la maggior parte di questi bambini sono la rappresentazione reale di questi dati. Per i più piccoli si prova a prendere una matita in mano e a fare dei cerchi e poi si passa alle lettere, si imparano i numeri, si cominciano le tabelline, ma si fanno anche balli, si imparano canzoni e tanto altro.
Con più grandi si prende una cartina e si comincia a vedere dove siamo nel mondo e cosa c’è oltre ai confini di questa grande isola, si fanno attività pratiche, si prova a creare qualcosa con le proprie mani, si riprendono in mano libri e quaderni.
Le idee ci sono e il tempo per attuarle anche. Alcuni bambini hanno già cominciato a frequentare la scuola di “classes rapides”, l’associazione Omeo Bon Bon ha infatti un progetto di reinserimento scolastico chiamato “Le radici del cielo”: ad oggi ne fanno parte circa 100 bambini, di cui 70 che oltre ad andare alla scuola statale, passano il resto della giornata qui, dove fanno tre pasti al giorno, revisione dei compiti, attività educative, di gioco e ricevono assistenza di ogni tipo. Altri cominciano ad interessarsi, forse hanno intravisto che c’è qualcosa di diverso da ciò a cui sono abituati, esiste un’alternativa.
Un posto dove vengono rispettati i diritti dei bambini, quegli stessi diritti che vedono ogni giorno calpestati anche da chi dovrebbe garantirli, da chi dovrebbe lottare e invece si nasconde dietro una facciata, dietro il menefreghismo, dietro l’ipocrisia.
In malgascio dopo il tradizionale saluto si chiede sempre “Inona ny vaovao?” – ci sono novità? – e la risposta è sempre e solo una: “tsy misy” – non ce ne sono – o anche “mangina” – silenzio. Io mi adeguo a questo gergo, ma mi verrebbe voglia di dire che invece si, ci sono delle “vaovao”, ci sono delle opportunità, delle alternative, dei tentativi che qualcuno prova a fare affinché ci siano dei cambiamenti: quei cambiamenti che qui fanno così paura e, anche nelle cose più banali, spaventano. Basterebbe così poco a volte per aprire uno spiraglio e lasciare entrare qualcosa di nuovo, lasciar cadere un pezzo di muro e provare a costruire qualcosa di diverso.
Non so cosa posso fare io, come sempre non sono altro che una gocciolina nell’oceano, ma durante la formazione pre-partenza qualcuno ci ha detto che essere volontari è essere portatori di scambio. Cercherò di continuare ad aprire spiragli affinché questo possa avvenire.
Giulia Perucca, volontaria IBO in Servizio Civile in Madagascar