
04 Feb Volver / Tornare
Tornare in America Latina, tornare a Paita, vuol dire svegliarsi alle 6 al grido della signora che vende soya.
Tornare vuol dire ascoltare cumbia e salsa in ogni dove; o vedere famiglie sedute fuori casa mentre cantano qualche grande classico e ridono della vita in una domenica tranquilla; o girare in mototaxi con la sabbia e la polvere che si alzano nelle strade sterrate; o ritrovarsi da soli col proprio cuore e la voglia di fare del bene fatto bene.
E, ritornando, si ricomincia ad uscire con cappello, borraccia e zaino per raggiungere i posti di cui ormai siamo parte. Ci si sente quasi come avventurieri o eroi in missione di salvataggio, ma stiamo solamente salvando noi stessi dalle abitudini falsate e dai valori perduti del nostro tanto acclamato Occidente: per questo si re-impara a sorprenderci di fronte alla gratuità che ormai ci è sconosciuta, di fronte a trenta bambini che arrivano puntuali ad un appuntamento in cui dovranno fare fatica ma soprattutto stare assieme tra loro per ridere un po’, per uscire dalla routine, per riscoprire piccole norme di lieta convivenza. Si esce, quindi, si riprende la corsa giornaliera delle visite a non finire a persone che vivono agli estremi opposti della città, ma nella stessa casa di canna di bambù o compensato.
Quando poi si torna a casa, si prova sulla propria pelle cosa significa non avere acqua corrente per vari giorni.
– Ti era mai capitato di rimanere senz’acqua?
La risposta è “No”, e si pensa che questo là non potrebbe accadere, perlomeno non così spesso e con questa rassegnata accettazione – che si dimostra anche nella consapevolezza di non avere un’assicurazione medica e di poter quindi morire in ogni istante – che qui invece succede ripetutamente, che le persone non protestano come in Bolivia, Cile e Colombia, che Paita è un po’ come la Macondo di Cent’anni di solitudine, dove “non è successo nulla, né sta succedendo né succederà mai nulla”. Poco importa se quest’acqua manca costantemente perché viene data in abbondanza alle zone balneari di Colán e Yacila, affinché i turisti benestanti stiano ben comodi e senza preoccupazioni. Poco importa se la gente si ritrova un’acqua razionata quando avrebbe diritto a molto di più: loro continuano con quest’acqua razionata perché vedono che così è e credono che così debba essere.
Y ya está, come dicono qua.
La stessa rassegnazione si dimostra in altri frangenti.
– Signora, ha l’assicurazione medica gratuita?
– No.
– E se sta male come fa?
– Vado all’ospedale.
– Però le medicine e le cure costano.
– Lo so. Infatti, se costano troppo, moriamo.
Possiamo anche provare a sensibilizzare, a diffondere le informazioni come altri dovrebbero fare, ma la verità è che la nostra presenza non è né deve essere un tuono; è un costante camminare in punta di piedi, imparando da tutto e tutti e mantenendo viva quella scintilla di amore per la lotta e la giustizia. Ci spetta pensare a come contribuire con il nostro piccolo grano di sabbia in questo deserto fisico e morale: perché come si può definire l’indifferenza, se non “deserto”?
Ancora, tornare è ricominciare a stare con le persone e con la violenza che le percuote.
È sentirsi un pizzico orgogliosi di creare un piccolo spazio in cui bimbe/i e ragazze/i ritrovano scrittura, lettura, tempo per sé, affetto e valori.
È guardare negli occhi una bambina che chiede di fare da intermediario affinché possa andare ad una scuola pubblica perché non possono permettersi di pagare ogni giorno un mototaxi o ogni settimana una scuola privata.
È osservare il sorriso amaro di una ragazza madre che ha dovuto lasciare il lavoro perché il compagno era troppo geloso.
È tendere l’orecchio per ascoltare la voce flebile di una donna che è sola con tre figli e senza un lavoro fisso.
È vedere una bambina stesa a terra con una malattia che potrebbe essere curata se solo ai genitori venissero date le informazioni e le norme igieniche corrette.
È attutire il colpo al cuore che queste ed altre persone provocano, con le loro storie.
Ed è fare un passo in più, al di là dell’umana compassione, per avere un po’ di consapevolezza in più, vedere le vere necessità e sentirsi parte della decostruzione di concetti e ritmi sfasati. Siamo sempre parte, siamo sempre dentro, siamo sempre granelli di sabbia in questo deserto; e ci spetta agire senza sosta e senza ego, accompagnando e denunciando.
Infine, tornare è sentirsi in una seconda casa. È sentirsi bene tra quelle mura, su quelle sedie, in quella stanza, con quei vicini, con quelle persone che ormai sono amici.
È essere dentro, ancora una volta, e avere sguardo fermo ed idee chiare su quel giusto e sbagliato che fanno la differenza tra giustizia ed ingiustizia.
Maria Casolin, volontaria IBO con i Corpi Civili di Pace in Perù da giugno 2019.
Dopo un breve rientro in Italia a metà dicembre per una valutazione intermedia, Maria è riTornata a Paita per proseguire il suo progetto.